Quando nel 1994 la casa fu più o meno pronta, le nostre estati sull’isola cominciarono ad allungarsi.
La scelta concreta e filosofico-esistenziale di ridurre al massimo le necessità che dovevano venire soddisfatte con il denaro, e dunque di ridimensionare le fonti di reddito per acquistare più tempo per noi, una ventina di anni fa era un’opzione praticabile.
Certo, come ogni suggestione che voglia calarsi nella dimensione progettuale, richiedeva ai sognatori discernimento e determinazione, ma probabilmente dal punto di vista delle condizioni generali era decisamente più realizzabile di quanto non lo sarebbe oggi.
Da quel momento in poi un flusso ininterrotto di amici, parenti, nuove e occasionali conoscenze destinate a trasformarsi negli anni in rapporti duraturi, prese a popolare le nostre giornate di vacanza che, come per magia, sembravano dilatarsi senza dover finire mai. Una, due, tre settimane, gli altri arrivavano e partivano, ma noi eravamo ancora lì.
L’estate di là da venire quando aprivamo casa e rinnovavamo il parco fiori dei terrazzi e della piccola corte, il profumo dell’autunno con il caminetto acceso a riscaldare le sere già rinfrescate, quando partiti da alcune settimane gli ultimi dei nostri ospiti, anche noi ci apprestavamo a rifare le valige.
La casa come una sorta di “porto di terra” aperta e curiosa, sempre pronta all’avventura di un nuovo incontro. La colonna sonora della stagione estiva è stata a lungo il familiare cigolio del cancelletto sul retro del cortile e una quantità di voci umane che interloquivano in un mix di lingue europee.
Una scena frequente poteva iniziare con un: - Salve, siete pronti? - , lanciato in francese dal piano terra alle finestre aperte dei piani alti. Mentre noi calziamo in fretta comode scarpe da passeggiata e annodiamo in vita un golf contro l’aria umida che calerà inevitabile con il buio, gli ospiti si sono accomodati sulla panca di pietra del patio. In una serata come questa può trattarsi di amici italiani, francesi e svizzeri del cantone ginevrino.
Ci sono adulti, adolescenti e bambini e ogni gruppo è arrivato per vie diverse a frequentare il villaggio, ma la sorte e la facilità con cui qui si cominciava a parlare con gli sconosciuti, riunisce spesso tutti quanti sotto il nostro tetto.” (da Magic corners of Corfù, la regione del Messis, di Gioia R. Maestro, Corfù, sett. 2013 –mm -)
Lasciare una metropoli europea per spostarsi in un piccolo villaggio di un’area a vocazione ancora sostanzialmente rurale è stata per noi un’esperienza di grande impatto.
Il tempo aveva sfumato la sua natura quantitativa per riacquistare quella qualitativa. Dall’accelerazione e l’anonimato monadico propri della grande città la vita si era trasformata prendendo ritmi tranquilli nei quali la dimensione comunitaria aveva assunto rilievo e centralità.
Nascite, morti, matrimoni, feste civili e religiose, ma anche pericolosi eventi naturali come gli incendi, le mareggiate o le frane, decisamente più visibili e percepibili in un contesto esposto e meno urbanizzato.
E ancora le celebrazioni, le ricorrenze di cui è punteggiato l’anno solare e che marcano il passaggio delle stagioni o le iniziative e gli eventi a carattere culturale promossi dai comitati locali: tutto, in un piccolo paese, a maggior ragione se collocato su un’isola del Mediterraneo di dimensioni relativamente ridotte, viene vissuto coralmente; il gossip di giornali e tv è sostituito dalle chiacchiere del foro, centro fisico e spirituale della vita dei residenti.
Qui si costruisce giorno per giorno una fitta aneddotica che riguarda persone e cose che tutti conoscono e in cui tutti possono riconoscersi.
La misura di quanto tu sia diventato membro a tutti gli effetti della comunità, mi spiegò una volta un inglese che era vissuto dalle nostre parti per molti anni, è ad esempio la conquista di un soprannome, il nick name o parazukli, in greco, che indica qualcosa che ti riguarda che ha colpito la fantasia collettiva e diventa una sorta di identità sociale, con cui tutti ti riconoscono e dunque ti accettano. Raul aveva naturalmente conquistato il suo parazukli che, come spesso accade, era legato a un episodio, piuttosto comico, che lo aveva visto protagonista.
Fu così che alla fine di maggio del 2001, intraprendemmo con la FIAT Uno (acquistata usata l’inverno precedente) il seguente viaggio da Milano alla Puglia, così congegnato: la cagnolina Martina e io in treno fino a Foggia – ero terrorizzata e non mi fidavo del neo patentato per un viaggio in autostrada di quella lunghezza –.
Raul, il cane Caruso, i bagagli e un’amica solidale copilota, con l’auto. Il ricongiungimento familiare avvenne a Foggia. Qui l’amica ci abbandonò al nostro destino, io e Martina salimmo in macchina e con grande trepidazione ci avventurammo fino a Brindisi dove ci aspettava il traghetto.
Sbarcati a Corfù’ ed arrivati in qualche modo fino al villaggio, Raul fece il suo ingresso trionfale in piazza.
Dalla porta del supermarket, da quella della farmacia e dall’ingresso della taverna in molti furono attoniti testimoni della sua goffa e tardiva frenata: la fiat Uno, prima di arrestarsi era riuscita a distruggere la grande fioriera piena di gerani che il taverniere aveva approntato per abbellire l’area della piazza contigua al parcheggio, dove erano sistemati i suoi tavolini.
Il coro delle risate fu unanime e da quel giorno per molto tempo nessuno chiamò più Raul altro che “O Fittipaldi”.
Raul e Lakis, l’oste della piazza, sono sempre stati legati da grande amicizia, fin dai primissimi tempi che cominciammo a frequentare il villaggio, alla fine degli anni ’80, che avevano conciso con l’avvio della sua attività di ristoratore.
Una delle avventure più spassose li vide protagonisti di una notte di pesca dallo scoglio dalle parti di Kontogyalos, una bella spiaggia a pochi km da Synarades.
Avevano raggiunto la postazione sullo scalcinato motorino di Lakis appesantito, oltre che dagli attrezzi per la pesca, da una cassetta piena di birre precariamente legata dietro il sedile del passeggero. Tornarono completamente ubriachi verso le 5 del mattino, senza aver preso niente. Preoccupata e arrabbiata mi rifiutai di aprirgli la porta di casa cosicchè, per dormire qualche ora, Raul dovette arrangiarsi smontando la zanzariera e infilandosi dalla finestra della camera del giardino per buttarsi, completamente annebbiato, sul letto degli ospiti.
Facemmo pace qualche ora dopo quando, smaltito il doposbornia mi fece sorridere raccontando il clou dell’avventura: lasciato immobile su uno scoglio con la canna in mano, mentre il compare saltava di
sasso in sasso dandosi da fare a sistemare esche, dopo un’oretta Raul si era reso conto di avere compagnia: accanto a lui un immenso ratto se ne stava a sua volta immobile, anche lui evidentemente in vana attesa dell’esito di quella pesca infruttuosa.
Abbellita dal gustoso finale della notte fuori casa la storiella circolò rapidamente per tutto il villaggio e al carnevale seguente fu ispirazione per Raul che si mascherò da “Atikhos psaras’”, il pescatore sfortunato.
Il titolo di questo paragrafo riecheggia il bel libro del naturalista inglese Gerald Durrel vissuto sull’isola da ragazzo negli anni trenta prima dello scoppio del secondo conflitto mondiale (La mia famiglia ed altri animali, edito in Italia per i tipi Adelphi). I Durrell, Gerald e il fratello maggiore Lawrence, a Corfù hanno lasciato una traccia profonda e la loro memoria sull’isola viene onorata non solo dalla nutrita comunità britannica ma anche dai locali e dai molti corfioti di adozione.
L’amore di Raul per gli animali, che fin da bambino aveva avuto in casa cani e gatti, è una lunga storia ininterrotta di interesse, dedizione e cura, fino alla scelta di dedicare un intero album di canzoni a questo particolare gruppo di amici; per Raul gli animali erano gli ultimi, i più indifesi, i senza parola nè diritti e dunque meritevoli di una attenzione che si è spesso tradotta in piccoli gesti di concreta militanza e impegno specifico; così, oltre alle decine di micetti che a casa nostra sono stati nutriti, accuditi e curati nel corso degli anni, a Raul è capitato di suonare in concerti dedicati alla raccolta fondi per l’ARK, la sezione locale dell’associazione internazionale per la protezione degli animali o di dare una mano agli organizzatori del “donkey rescue”, un rifugio organizzato e gestito da una signora inglese a nord dell’isola, che raccoglie gli asinelli “pensionati”, perchè possano avere una vecchiaia dignitosa dopo una vita di lavoro, invece di finire carne per I leoni dei circhi.
In “Beyond –necromantics- IN AENIGMATE”, il secondo album della trilogia, l’ultima canzone “Psycopomp lullaby” è dedicata al nostro cane Caruso, scomparso nel settembre del 2010. Martina, la mamma di Caruso era morta l’anno precedente, dopo essere vissuta con noi per quasi sedici anni. E’ una ninna-nanna triste e dolce e nella parte dell’album dedicata ai ringraziamenti, oltre a quelli rivolti agli umani che a vario titolo l’hanno aiutato nella realizzazione dell’opera, si legge “ Special thanks to Martina and Caruso for the inspiration and joy they gave me”.
Dopo aver terminato “Failed expectations”, terzo album della trilogia e “Cooking Friends”, l’omaggio agli amici con cui faceva musica, verso la metà del 2012 Raul iniziò a progettare e comporre le canzoni di MINIMANIMALIA, un album doppio interamente dedicato agli animali. Purtroppo la malattia è precipitata e il lavoro è rimasto incompiuto.
C'è comunque molto materiale che, proprio per onorare la memoria della sua appassionata militanza animalista verrà raccolto organizzato e pubblicato in un libretto accompagnato da un cd con le canzoni.
Quando il lavoro sarà pronto se ne darà notizia nel sito, di modo che chi fosse interessato potrà richiederlo. Il lancio e la distribuzione di questo prodotto sarà organizzata in collaborazione con circuiti locali e internazionali di associazioni animaliste.
Testi, illustrazioni, musiche e arrangiamenti: come sempre l’artista versatile(peraltro generosamente aiutato da amici musicisti, grafici, poeti, letterati, esperti vuoi di suono vuoi di informatica,etc.), si occupava comunque di tutto; determinazione, competenze e creatività sopperivano all’obbiettiva scarsità dei mezzi tecnologici a disposizione.
La collaborazione e la condivisione del suo progetto era per Raul fonte di grande soddisfazione. Stargli vicino non era facile, era perfezionista e puntiglioso e dagli altri pretendeva la stessa qualità di impegno che lui stesso era in grado di profondere. Denaro ne è’ sempre circolato assai poco, semplicemente perchè non c’era, ma la ricchezza dello scambio umano e professionale consentiva la scoperta del piacere della gratuità.
Le commosse parole di chi ha avuto il privilegio di lavorare con Raul testimoniano quanto preziosa sia stata per tutti questa esperienza.
Di seguito la testimonianza di Jim Potts, l’amico inglese con cui ha sviluppato un’affettuosa amicizia e una collaborazione artistica assai feconda.
Raul Scacchi era una delle persone più talentata e creativa che io abbia mai incontrato.
Era un artista originale, un pittore e un compositore innovativo (capace di trarre dal suo computer i suoni di un’intera orchestra), un arrangiatore, un paroliere, un musicista versatile e competente, chitarrista (nonchè bassista e suonatore del Fender a sei corde), un produttore di idee, un filosofo, un ecologista, un amante degli animali e della natura, un cuoco e un anfitrione generoso, un umorista che amava il gioco e lo scherzo, politicamente un
pensatore radicale e un egalitarista sociale, un uomo con capacità tecniche e realizzative pratiche, un perfezionista e, soprattutto, un amico tollerante, paziente, ottimista , affettuoso e frutto per me di continua ispirazione. Mi sento fortunato per averlo conosciuto e per aver goduto della sua amicizia per otto anni.
Sebbene si sia spento a Pisa, la sera del 9 giugno del 2014, il suo spirito e la sua influenza continuano a vivere. Io ho ascoltato le sue canzoni e la sua musica sul mio iPod , alle Bermuda, la mattina di Natale, appena mi sono alzato.
Raul e Gioia si sono trasferiti a Synarades, Corfù, nel maggio del 2001. Io li ho incontrati per la prima volta nel novembre del 2005 (un anno dopo io tornavo a vivere sull’isola). Il nostro primo incontro risale a un mercatino natalizio di prodotti artistici e artigianali a Dassia, dove Raul aveva disponibili le copie del suo CD “Emails to Emily”.
Raul e Gioia erano arrivati a Corfù con l’inizio del nuovo millennio, pieni di ottimismo ed energia creativa, la loro coppia rappresentava una partnership perfetta.
Ho collaborato strettamente con Raul per l’Album “Neuromantics” dando il mio contributo per alcune parole delle canzoni e idee per i testi. Durante il lavoro sulle canzoni ci divertivamo moltissimo, tra appassionate discussioni e tremende risate. Ho continuato a dargli il mio modesto supporto editoriale e assistenza linguistica, per molti dei suoi progetti musicali successivi con testi in inglese.
Raul mi ha fatto anche l’onore di arrangiare un certo numero di canzoni che io avevo scritto, trasferendo le mie parole in un universo musicale avventuroso e ricco di immaginazione.
La nostra è stata una collaborazione feconda; a un certo punto ha realizzato uno speciale CD, per alcuni suoi amici musicisti. Dentro ci sono gli arrangiamenti di tre canzoni che avevo scritto io. Raul ha chiamato l’album “Cooking friends”, appena un pò meglio del titolo preliminare “Cooking Potts”, dal momento che in copertina c’è un’immagine di me che vengo cucinato vivo dentro a un pentolone con il fuoco acceso!
Con mia moglie Maria andavamo a casa loro a Synarades e spesso con la chitarra salivo per le scale fino alla mansarda dove Raul aveva il suo studio, per le prove e le registrazioni dei demo. Insieme abbiamo anche suonato in molte serate musicali organizzate in varie parti dell’isola.
Omero, Petrarca, Emily Dickinson, Raul portava il suo bagaglio culturale con leggerezza. Da Verdi, ai Beatles e il Blues, amava ogni tipo di musica. Originario di Milano, aveva avuto una formazione musicale classica e per un decennio aveva suonato dal vivo con gruppi rock e pop.
Non ho mai smesso di ascoltare la sua musica e le sue canzoni. Raul aveva davvero molto da offrire al mondo, sia con la musica sia nel campo delle arti visive. Mancherà ai suoi amici più di quanto le parole possano esprimere.
La Natura, per quanto crudele, era la sua forza di redenzione: la musica e gli animali, il suo grande conforto, fino al termine della sua vita.
Meno di un mese prima di morire, il 14 maggio, Raul mi ha scritto un e mail
“Al momento, nelle mie condizioni, non sono assolutamente in grado di pensare ad alcuna produzione musicale. Ma ascolto tantissima nusica, specialmente i requiems (quello di Faure’e’ uno dei miei preferiti), le sinfonie di Mahler e la sagra della Primavera di Stravinski (da sempre uno dei brani che prediligo)...”
A parte il suo amore per la musica gli era di conforto pensare che c’erano persone che si prendevano cura degli animali e della natura in generale e che sentivano in merito, un senso di responsabilità, anche se sono una minoranza.
Raul ha lasciato a tutti noi, specialmente alle giovani generazioni, una grande eredità artistica e musicale, ricca di idee e principi. Lui può essere ancora la nostra guida, il nostro “Psicopompo”, noi glielo dobbiamo.
"Estate 2018: quattro anni dopo la scomparsa di Raul e tre dall'inaugurazione del sito a lui dedicato, ricordi e immagini della sua vita di artista sono sempre vivi in chi l'ha conosciuto, apprezzato e gli ha voluto bene.
Quest'anno, che tutto il mondo celebra il cinquantesimo del '68 e i suoi fermenti rivoluzionari, il sito si e' arricchito di una nuova testimonianza di un amico di antichissima data: Gian Luigi Radaelli, che Raul ha conosciuto e frequentato quando erano ragazzi, nel lontano biennio 1967-1968.
Un grazie di cuore a lui per aver inviato questa pagina di una memoria tanto vivida e fresca (una pagina incredibilmente giovane, nonostante il mezzo secolo trascorso dalla cronaca narrata) e, naturalmente, all'amico Dick Newman per l'affetto, la pazienza e il tempo generosamente regalato alla traduzione in lingua inglese."
La mia conoscenza di Raul risale alla fine degli anni 60 e l’inizio dei 70, quando era un giovane silenzioso, che strimpellava chitarra, che conosceva tutto dei vari complessi, che s’arrabbattava per metterne su uno lui con gli amici. Per me fu un amico di breve durata, ma importante e fondamentale, visto che mi ha pure salvato la vita. Quello che segue è un pezzo tratto dal mio presesunto corposo libro della mia vita, che non si sa quando troverà la via della stampa... tratto dal cap. 4
Cap.4 - 1967/68, Tentativi di farla finita, un profondo mutamento, mondo beat, uscita di casa, i Quindici, prima auto, amicizie importanti, esperienze psichedeliche, vita da abbaino e profondi casini, innamoramenti a getto continuo (1967). Militanza anarchica, primi viaggi, congresso di Carrara, movimento, manifestazioni, fermato e manganellato, coabitazioni drammatiche con femmine, sempre vergine, crisi abissali, Raul (1968)......p. 145
In Novembre avevo stretto il rapporto con Raul, più giovane di me di qualche anno, suonava la chitarra, lunghi capelli neri, e un modo di fare pacato, sensibile. Ogni volta che capitava a casa di Sara si metteva a giocare con i gatti, che gli piacevano tantissimo, lui pure in famiglia, aveva un cagnolino e un gattino. Aveva non da molto perso il padre, e certe volte il suo sguardo triste mi faceva pensare a che genere di rapporto doveva esserci fra di loro, a differenza di quello sempre più difficile fra me e il mio genitore.
Con lui, abbastanza rapidamente raggiunsi un livello di confidenza tale da raccontargli tutti i miei casini, e spesso finivamo fatti a cercare motivi di consolazione nella musica, che lui conosceva molto bene, di ogni genere, e addirittura dei vari complessi sapeva nomi, vita, morte e miracoli degli appartenenti. Lui stesso ogni tanto suonava come bassista in un complesso in formazione. Spesso veniva a trovarmi a casa e quando Sara non c’era, portava una bottiglia di liquore, per lo più whisky, per affogare le nostre menate, e così finivamo sbronzi persi a cantare e sbraitare, con i due mici filosofi tranquilli, disinteressati e sonnacchiosi sulla sedia, fino a che rientrava lei, che senza una parola ma con un ghigno eloquente, ci faceva segno di sloggiare.
Un giorno si presentò con un vassoio grande di pasticcini, che ancora ci stavamo pappando, filosofeggiando sui nostri casini e risate cretine, quando rientrò, prima del previsto Sara, che a quella vista, per una volta non si arrabbiò, neppure per il solito ritratto di Lenin, che io quando veniva qualcuno nascondevo in un cassetto, e si mise anche lei a gustare le paste.
Non disdegnava Raul, di unirsi a noi depravati, come ci definiva, per farsi qualche spinello in compagnia, il cui effetto però per lui, non era come quello generale di allegria, e unsacco di fesserie sparate insieme a risate continue, no, lui diventava silenzioso e triste, lontano per i cazzi suoi.
Così ho sempre vivida nel mio ricordo la scena di quella volta che ci facemmo il the. Venne a trovarmi nella casa di Sara, perché gli avevo detto che lei non c’era, sarebbe stata via un po’ di tempo, e io ero in uno stato quasi tenebroso, per i soliti motivi. Tirò fuori un grosso pacchetto e con un sorriso malizioso mi disse: -Ora ci facciamo il the! Io fui molto sorpreso perché lui aveva sempre nicchiato sulla questione di procurarsi la roba, e aveva sempre solo fumato quando la trovava dagli amici, quella volta disse che gliela avevano regalata, che era marijuana pura, seccata, da utilizzare in infuso.
Quindi ridacchiando, ma non sapendo che cosa rispondere alle mie domande, se sapesse come fare, cosa avrebbe comportato e via dicendo, prese un po’ di quella che sembrava erba secca, odorosa, e la mise dentro l’acqua che bolliva. Il mio ricordo passa al momento successivo alla bevuta di quel liquido scurissimo e amarissimo, talmente disgustoso, che non ne bevemmo troppo, e grazie a quel dio cui non credevamo, evitammo probabilmente guai peggiori. Fu una specie di farsa tragicomica, l’effetto fu piuttosto rapido, a me cominciò a girarmi tutto intorno, peggio che se fossi stato ubriaco duro, finii a terra, un po’ gridando e un po’ ridendo, mentre lui andava sbattendo contro armadi e porte, come se cercasse un’uscita. Alla fine scompisciandoci dalle risate, ci venne pure un mal di pancia tremendo, che finì in gloria, nel cesso. Da allora, ogni volta che ci s’incontrava, la battuta era sempre la stessa:- Che, ce lo facciamo un bel the?
Evidentemente il colpo era stato molto forte, se sul diario trovo un appunto scritto con calligrafia incerta, malferma:
Ecco, ci ero quasi riuscito sta volta, un po’ di gas e via tutto finito, una bella notte di fine anno, fine di tutto, lei mi avrebbe trovato così straccio inerte, e chissà se avrebbe pianto... invece prima che mi facesse effetto... è arrivato lui, il grande amico che mi ha salvato...e mi ha rimesso al cospetto del mio spettro...
Avevo aperto i rubinetti del gas della cucina, mi ero preso un revonal e aspettavo tranquillo, ma Raul ancora una volta è arrivato a sorpresa. Poi quanto tempo ha passato con me, per tirarmi su, non lo ricordo, so solo che oggi se posso scriverlo, lo devo a lui. Fu un grande amico, in seguito, ci perdemmo un po’ di vista, lui era sempre più impegnato a suonare, a formare band, come Le sensazioni o I Gramigna, partiva spesso, in Grecia, in Inghilterra. L’avrei ritrovato più avanti.
Una sera vado al cinema con mio fratello e Marina a vedere Il grande addio di Robert Altman, e all’uscita scorgo tra la folla un viso noto, ma sì è proprio lui, Raul che non vedo da anni, grande festa e abbracci, e battute che solo noi capiamo, sulla bontà del tè. Mi invita ad andare a casa sua sabato 16 che ci sarà una specie di festa e rimpatriata con vecchi amici.
Sabato 16/1/74 dopo aver passato tutta la giornata in casa con mia madre, a sistemare riordinare e farla felice nelle sue piccole manie, (tra l’altro mi invita a prendermi l’auto di papà, che a Robi non serve), la sera sono andato da Raul, e ciò che ho scritto nel diario testimonia di un’atmosfera strana, non felice e spensierata da festa, tutt’altro, erano tutti chi più chi meno muti, tristi, ogni tanto qualche sporadico tentativo di avviare un discorso, specie da parte mia finiva nel vuoto, c’era una grande incomunicabilità, poche ragazze, nessun flirt o movimento erotico, come avveniva ai bei tempi dell’abbaino. L’unico momento in cui si scaldava un po’ l’atmosfera era quando qualcuno parlava di musica, musicisti, band e canzoni, del resto quello era l’ambiente di Raul e dei suoi amici.
Solo verso la fine di quella strana serata ho potuto chiacchierare un po’ con lui che mi ha raccontato delle sue esperienze in Grecia, ma sempre con un fondo di scarsa soddisfazione. Alla fine ho realizzato come fosse diverso e più salutare il mio ambiente in terra siciliana che mi aveva permesso di uscire dall’atmosfera di perenne incasinamento e d’insoddisfazione nel rapporto con la società, e di sentirmi comunque utile e positivo.
Nel pomeriggio seguente mi rivedo con Raul, dice che vuole parlarmi, e mi racconta, finalmente aprendosi, del suo casino attuale, si chiama Daniela, ed è divisa fra lui e un altro, cioè non si capisce bene che cosa voglia lei e di fatto li fa ballare come pupattoli. Già, ecco perché quella strana atmosfera di ieri rifletto, gli dico è una faccenda nota, che conosco bene, ma di cui in effetti non credo di avere la soluzione. L’unico consiglio che posso dare è di cercare di affrontare la situazione di petto, decisamente e senza nascondersi, parlandone tutti e tre apertamente.
Lui mi dice che qualche tentativo in quella direzione è stato fatto, ma il problema è che con Franco ci suona insieme, e nessuno dei due vuole arrivare a una rottura, aspettano che sia lei a decidere, ma sembra che le vada bene così. E come non capirla, data la mia esperienza! Purtroppo non posso che consolare il mio amico, consigliandolo di provare a fare il freddo con la ragazza, e vedere che succede. Lui alla fine mi dice che sta pensando di ritornare in Grecia, magari per sempre. Mi raccomando: teniamoci in contatto, gli dico abbracciandolo.